Per determinare se la stampa 3D possa ritenersi una tecnologia disruptive anche dal punto di vita della sostenibilità ambientale è importante prendere in considerazione sia vantaggi che svantaggi della stessa. Ad esempio, la stampa 3D è migliore per l’ambiente in quanto riduce l’uso delle risorse naturali e il consumo di energia, oltre a snellire le catene di approvvigionamento eliminando gli intermediari non necessari. Può anche ridurre i costi di produzione consentendo la produzione di prodotti in lotti più piccoli e diminuendo le emissioni di trasporto perché i prodotti possono essere stampati più vicino alle loro destinazioni. D’altra parte in molti casi la stampa 3D richiede l’uso di materie plastiche ottenute da fonti non rinnovabili, sebbene possano essere riciclate ove possibile.
In questo articolo cercheremo di analizzare con ordine tutti questi aspetti al fine di stabilire l’effettiva potenzialità green della produzione additiva.
Potenzialità nell’economia circolare
Il principale obiettivo della COP26, l’ultima grande conferenza programmatica sul clima, è quello di azzerare le emissioni nette a livello globale entro il 2050. Considerati i tempi e, per così dire, i contrattempi che incontra questo percorso tortuoso, si tratta di un obiettivo molto complesso. Tra le pratiche più utili di cui si è discusso nella conferenza c’è l’economia circolare, ovvero il riutilizzo di tutti i materiali di produzione, compresi gli scarti e gli oggetti finiti già utilizzati. In tal senso la stampa 3D ha le potenzialità per essere una tecnologia cardine di questa buona pratica. Sostanzialmente ogni azienda che stampa in 3D potrebbe utilizzare come materia prima una materia di scarto, a sua volta poi ancora riciclabile. Proprio nell’utilizzo della materia prima, come vedremo, risiede la principale potenzialità “green” della produzione additiva. Allo stesso tempo è su questo stesso tema che risiedono i principali dubbi sulla sostenibilità di questa tecnologia.
Non tutti i materiali sono uguali
Secondo i principali funzionamenti delle stampanti 3D diffuse sul mercato, i materiali disponibili rientrano in tre categorie principali: filamenti, polimeri, resine e altre sostanze allo stato liquido. Tra queste alcune hanno un impatto estremamente neutrale sull’ambiente, altre invece inquinano allo stesso modo di altri materiali usati nelle produzioni tradizionali. Con la produzione additiva si può usare, ad esempio, il PLA che è una resina biodegradabile, quindi riutilizzabile e comunque smaltibile senza problemi. All’esatto opposto però c’è l’ABS, acrylonitrile butadiene styrene, che è a base di petrolio e quindi non certo un materiale green.
Il problema cardine, ricollegandoci al concetto di economia circolare, è riciclare gli oggetti non più utilizzabili e gli scarti di produzione. Sono ancora poche le aziende che riescono a produrre filamento stampabile dalla plastica riciclata. Produrre polimeri di metallo da scarti metallici per via di un processo di atomizzazione non è semplice e, soprattutto, è piuttosto impattante. Nei processi di sterolitografia, processo in cui un laser raffredda solo la parte interessata all’interno di una vasca di materiale liquido, è stimato che oltre un quarto del materiale in eccesso non sia poi riutilizzabile.
Nonostante la presenza di queste problematiche oggettive bisogna comunque considerare che questa tecnologia è in continua evoluzione. Inoltre si basa su un principio che per sua natura fornisce di default un vantaggio in termini di sostenibilità alla stampa 3D: l’addizione di materiale. La produzione additiva utilizza solo la materia prima necessaria, a differenza ad esempio delle produzioni sottrattive che lavorano per esclusione di materiale e conseguente creazione di scarti.
Le vere potenzialità della stampa 3D
In definitiva il processo produttivo in sé, ovvero la fase di stampa vera e propria, non è per forza più “green” dei metodi tradizionali di produzione. Ma è nell’intera catena di creazione dell’oggetto finale che risiede la potenzialità disruptive del 3D: avere meno limiti di design per progettare in modo più efficiente, quindi usare anche meno materiale; riparare oggetti stampando singoli pezzi di ricambio; stampare localmente accorciando la catena di produzione e inquinando meno coi trasporti; fare meno inventariato e avere minori spese di magazzino; factory di stampa meno inquinanti, silenziose e pulite. Il mondo disegnato dalla stampa 3D sembra quindi più vicino all’ideale ecologista, ma bisognerà continuare a lavorare sodo per concretizzare questa visione.